Home

Storia del Chianti


Il grande sviluppo della viticoltura si è avuto con l’avvento della famiglia dei Medici. Già
nella seconda metà del 1400, Lorenzo dei Medici, nel Simposio e nella Canzone di
Bacco, illustra un clima popolaresco, dove il vino è l’essenza di un teatro di arguzie e
banalità, al limite grottesco. Fu dunque, il vino per i Medici, già mercanti e banchieri, un
bene ed un dono, fu alimento, merce e simbolo. Si dice che dai tempi del duro e sagace
Cosimo il Vecchio fino allo sfortunato Gian Gastone, il vino preferito a casa Medici fosse
quello prodotto nella zona del Chianti. Oltre ai vini di provenienza da tali zone, si beveva,
prima a Palazzo di Via Larga, poi a Pitti e sempre nelle Ville medicee del contado, anche
vini Schiavo, Vernaccia, Moscatello, Greco, Malvasia, il Ribolla ed il vin cotto.
Stretto è il legame che lega la dinastia medicea con la scienza enologica o più
semplicemente con il vino. Non a caso, rifacendo nel Cinquecento il duecentesco Palazzo
Vecchio, in onore dei Medici, le colonne furono adornate di pampani, tralci ed uve, che
ancora, si possono ammirare nel cortile del palazzo.
I Medici furono Signori di Firenze, del contado e, dal Cinquecento, furono Granduchi di
Toscana. E’ naturale dunque che uno dei prodotti più rinomati, della regione, diventasse
cura del mondo della politica. Ma, il vino segnò anche l’allegria, il fasto, il desiderio di
ebrezza e di smemoratezza che molti Medici, e Lorenzo fra tutti, coltivarono, non senza
una vena segreta di malinconia.
Molte dispute si sono accese per stabilire quanti anni abbia il Chianti, compresa quella
del significato del nome: per alcuni significa “battito di ali” o “clamore e suoni di corni”
oppure è più semplicemente l’estensione topografica della parola etrusca “Clante”, nome
personale, frequente nell’onomastica di quel popolo, di cui sono state trovate tracce in
certe scritture contabili del XIV secolo. Lamberto Paronetto, in un suo libro, ne menziona
l’uso in un atto di donazione del 790 appartenente alla Badia di San Bartolomeo a Ripoli.
Dall’atto di donazione si passa, con un salto di molti secoli, ai documenti dell’archivio
Datini (1383-1410) di Prato, dove viene anche usato, per la prima volta, il termine
“Chianti” per designare un tipo speciale di vino. Comunque, una fra le remote e sicure
citazioni della parola “Chianti”, riferita al vino, sembra quella apparsa nella sacra
rappresentazione di S. Antonio sulla fine del quattrocento o dei primi anni del
cinquecento. Tuttavia, nonostante le rare apparizioni quattrocentesche e cinquecentesche
della parola, la denominazione corrente di questo vino resterà ancora per parecchio tempo
riferita al nome di “vermiglio” o a quello di “vino di Firenze”. Solo nel seicento, con
l’intensificarsi dello smercio e delle esportazioni, il nome della regione verrà
universalmente riconosciuto anche per il celebre prodotto di questa territorio.
Nel settembre del 1716, gli “illustrissimi signori deputati della nuova congregazione
sopra il commercio del vino” fissarono i termini del commercio dentro e fuori “li Stati di
Sua Altezza Reale”, formulando, senza volerlo, il primo vero e proprio disciplinare del
“Chianti” e degli altri vini, allora famosi, destinati in futuro a fondersi, nella sua
denominazione.
Il Bando affisso “nei luoghi soliti ed insoliti” di Firenze, regolamentava oltre alla zona
originaria del Chianti, anche quella del Carmignano, Pomino, e Valdarno di Sopra.
L’editto granducale, tra l’altro, comminava pene severe per tutti i casi di contraffazione e
di traffico clandestino, anticipando la disciplina per i luoghi di origine, preludio
all’odierna denominazione controllata e garantita. Scrivevano all’epoca gli illustrissimi
controllori: “tutti quei vini che non saranno prodotti e fatti nelle regioni confinate, non si
possono, ne’ devono, sotto qualsiasi pretesto o questo colore, contrattare per navigare, per
vino Chianti, Pomino, Carmignano e Val d’Arno di Sopra, sotto le pene contenute nello
enunciato bando”.
Il bando parlava chiaro:
“Premendo all’Altezza Reale del Serenissimo Granduca di Toscana, nostro signore che si
mantenga l’antico credito di qualsiasi genere di mercanzie che si stacchino dai suoi
felicissimi Stati, non solo per il decoro della Nazione quale ha conservato sempre
un’illibata fede pubblica, che per cooperare al possibile per il sollievo dei suoi amatissimi
sudditi ….”
Fu deciso, quindi, di ordinare la costituzione di un’apposita congregazione, con il
compito di vigilare che i vini toscani commessi per navigare, fossero muniti di una
garanzia per maggiore sicurezza della qualità loro: “ … criminalmente contro i vetturali, i
navicellai e altri che maneggiassero detti vini per le frodi fino alla consegna nei
magazzini del compratore forestiero o ai bastimenti direttamente e a seconda del danno
cagionato riguardante il benefizio pubblico”.

Fino poi ad arrivare, all’intuizione del Barone Bettino Ricasoli, con la definizione della
base ampelografica del vino Chianti e dell’introduzione di speciali tecniche di
vinificazione, quali quella del “governo”, utilizzando uve “colorino”, preventivamente
appassite su stuoie di canne (cannicci). La pratica del “governo”, conferisce al vino un
più elevato tenore di glicerina e ne risulta una maggiore rotondità di “beva”, che lo rende
adatto ad accompagnarsi ai piatti tipici toscani, quali salumi, arrosti, carne alla griglia,
etc.
Nel 1870, Ricasoli, scriveva al professor Studiati dell’Università di Pisa: “il vino riceve
dal Sangioveto la dose principale del suo profumo e una certa vigoria di sensazione; dal
Canaiolo l’amabilità che tempra la durezza del primo senza togliergli nulla del suo
profumo, per esserne pur esso dotato; la Malvasia tende a diluire il prodotto delle prime
due uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoprabile all’uso
della tavola quotidiana”.
Negli anni a noi più vicini, il vino Chianti ottenne il riconoscimento come
Denominazione di Origine Controllata con Decreto del Presidente della Repubblica del 9
agosto 1967, con approvazione del relativo disciplinare di produzione, ove oltre alle zone
di produzione identificate con il Decreto Ministeriale del 1932, furono inseriti i territori
ad esse vicine, ricadenti nelle provincie di Arezzo, Firenze, Pisa, Pistoia e Siena e,
nell’anno 1984, grazie al lavoro sapiente dei produttori vitivinicoli ed all’attiva industria
collaterale di settore, si crearono le condizioni affinché il vino Chianti ottenesse il
riconoscimento, come vino Chianti D.O.C.G, con Decreto del Presidente della
Repubblica del 2 luglio 1984.

www.consorziovinochianti.it